Risorse: nel 2020 il break down alimentare

 Già nel 2020 il mondo potrebbe non riuscire a produrre abbastanza cibo per tutti, a causa dell’aumento della popolazione e degli effetti dei cambiamenti climatici sulle produzioni agricole. Lo afferma uno studio dell’Ong statunitense Universal Ecological Fund, che ha combinato le proiezioni sulle temperature dell’Ipcc con i dati disponibili sulle produzioni mondiali. Secondo i risultati dello studio, che parte dalla stima di un aumento di 2,4 gradi della temperatura media entro i prossimi dieci anni, alla popolazione che diventerà di 7,8 miliardi di persone verrà a mancare il 14% del grano, l’11% del riso e il 9% del mais, mentre le uniche produzioni che beneficeranno dei climi più caldi saranno quelle di soia.

I cambiamenti climatici influenzano il sapore dei cibi: è allarme per i produttori di thé di Assam

I cambiamenti climatici influenzano anche il sapore dei cibi oltre che la loro produzione. In India, nella regione nord-orientale di Assam, dove si concentra la produzione di tè scuro, una variabile aromatica venduta in Inghilterra come breakfast tea, le foglioline sembrano aver perso gusto, oltre a scontare una decisa riduzione dei raccolti. Lo denunciano i coltivatori della regione che sono in allarme perché con l’alto tasso di umidità delle ultime stagioni si è perso il 55% della produzione e anche parte della qualità.

Cambiamenti climatici: uno studio sui fondali del Mar Morto per capirne le cause

 Parte in Terra Santa il “maxi progetto” di misurazione geofisica del Mar Morto. L’indagine, svolta da un’equipe internazionale di ricerca dell’International continental scientific drilling program (Icdp), comprendenti sia israeliani sia palestinesi, fornirà informazioni importanti sui cambiamenti climatici e ambientali della zona, risalendo fino a mezzo milione di anni fa. Lo riferisce l’Istituto tedesco Helmholtz (Gfz), uno dei promotori dell’iniziativa. Gli scienziati, provenienti da otto nazioni diverse, hanno perforato il terreno sottostante il Mar Morto per riuscire a determinare l’attività sismica e i cambiamenti climatici nel corso dei secoli. Ciò dovrebbe servire tra l’altro a capire meglio i meccanismi che stanno ora provocando il riscaldamento del pianeta.

Cancun: il clima al centro della 16/a conferenza Onu per il Cop16

 Limite al riscaldamento, verifiche delle emissioni e degli impegni e finanze sono gli elementi chiave delle fasi finali della 16/a Conferenza Onu per la lotta ai cambiamenti climatici (Cop16), a Cancun, in Messico. Due i testi sui quali i ministri dovranno alla fine dare il consenso, uno sugli obiettivi a lungo termine e uno su Kyoto.

Gli obiettivi a lungo termine
Limite al riscaldamento (1 grado – 1.5 gradi – 2 gradi) e concentrazione di 350 parti per milioni (oggi siamo a 394 ppm circa). Se venisse inserito, darebbe il via anche a procedure non solo di taglio delle emissioni, ma anche di cattura e stoccaggio di CO2; – Picco CO2 al 2015: andrebbe inserita la frase “il prima possibile” perché le previsioni per il 2015 parlano addirittura di quasi 450 parti per milione; – Risorse: si conferma il fondo da 30 miliardi di dollari entro il 2012 come deciso a Copenaghen ma, entro il 2020 il fondo da 100 miliardi di dollari l’anno non ha ancora fonti certe (si usa il termine “mobilitazione”). Si parla anche di un nuovo fondo finanziato con l’1,5% del Pil dei paesi industrializzati a partire da un certo anno.

Dodici mesi dedicati all’ambiente: il calendario 2011 del Corpo Forestale dello Stato

 Dodici mesi dedicati al ruolo delle foreste, alla gestione sostenibile della natura, alla difesa del suolo e ai cambiamenti climatici: si ispira a questi temi il calendario 2011 del Corpo Forestale dello Stato, presentato a Roma. Per il Corpo Forestale, il 2011 rappresenta un’ulteriore sfida per far conoscere le proprie attivita’, anche perche’ l’ Onu lo ha dichiarato anno internazionale delle foreste.

Il ruolo di boschi e foreste
I boschi rappresentano, secondo la Forestale, uno strumento naturale di difesa del suolo, in grado di contrastare erosione, siccita’ e desertificazione. Il contrasto ai fenomeni di degradazione del suolo e’ infatti uno dei compiti storici del Corpo Forestale, che contribuisce alla manutenzione del territorio.

Amazzonia: il prodotto di un enorme riscaldamento globale

 All’origine dell’ecosistema più ricco di biodiversità della Terra, quello della foresta Amazzonica vi sarebbe uno dei più bruschi eventi di riscaldamento del Pianeta e il sollevamento delle Ande. E’ quanto sostengono due studi pubblicati su Science da due gruppi di ricerca coordinati rispettivamente dallo Smithsonian Tropical Research Institute a Balboa, nella Repubblica di Panama e dall’università di Amsterdam. Nel primo studio i ricercatori hanno esaminato fossili di pollini, semi e altri resti vegetali raccolti in tre siti della foresta Amazzonica, dalla Colombia al Venezuela, relativi a un periodo che comprende il prima, durante e dopo di uno degli eventi di riscaldamento del Pianeta più bruschi degli ultimi 65 milioni di anni. L’evento si chiama Paleocene-Eocene Thermal Maximum durò circa 200.000 anni e iniziò 56,3 milioni di anni fa: il Pianeta si riscaldò di 3-5 gradi e i livelli di anidride carbonica in atmosfera raddoppiarono in 10.000 anni.

Emergenza clima: entro la fine del secolo metà delle specie esistenti oggi saranno estinte

Entro la fine del secolo la metà e oltre di tutte le specie che ora esistono sulla Terra rischiano l’estinzione, in un evento che non ha precedenti negli ultimi 66 milioni di anni provocato interamente dalle attività degli esseri umani. E’ un passaggio della lectio magistralis di Piter H. Raven, del Missouri Botanical Garden di St. Louis, tenuta nell’ambito di un incontro su cambiamenti climatici e biodiversità presso la Pontificia accademia delle scienze. Le cause che provocherebbero questa ingente estinzione, secondo Raven, sono molteplici: la distruzione degli habitat naturali che rappresenta la principale causa di perdita di specie in tutto il mondo, lo sviluppo incontrollato delle città, la rapida diffusione di specie invasive accelerata dal commercio umano e la raccolta selettiva di particolari tipi di animali o piante.

Allarme clima: gli oceani si stanno acidificando a causa della Co2

 Gli oceani stanno cambiando ‘sapore’. E questo per colpa dell’anidride carbonica che li rende sempre più acidi. “Un problema recente che sta coinvolgendo anche la ricerca, una nuova frontiera di studi per salvare il Pianeta dal riscaldamento globale“. A scattare la fotografia è Riccardo Valentini, uno dei massimi esperti mondiali di clima, presidente del Global Terrestrial Observing System (Gtos), un programma internazionale di monitoraggio ambientale, e membro per l’Italia dell’Ipcc (il gruppo intergovernativo di scienziati Onu che studia il clima).

Uccelli migratori in pericolo a causa dei cambiamenti climatici

 I cambiamenti climatici stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di molte specie di uccelli migratori a causa del crescente anticipo della primavera nell’Europa settentrionale. A rilevarlo è uno studio internazionale pubblicato in questi giorni sui “Proceedings of Royal Society” e condotto da un’equipe di scienziati tedeschi, russi e finlandesi, coordinati dall’italiano Nicola Saino, del Dipartimento di Biologia dell’Università degli studi di Milano.

Colpa dell’arrivo precoce della primavera
Basandosi su una grande mole di dati riguardanti 117 specie di uccelli che migrano dall’Africa o dall’Europa meridionale verso l’Europa del nord, lo studio dimostra infatti che l’arrivo precoce della primavera mette in crisi molte specie rendendo più difficile l’accoppiamento e il reperimento del cibo. Ed a essere a rischio sono molte specie di uccelli canori e di uccelli acquatici.

Riscaldamento globale: la Cina a rischio carestia

 Come una specie di contrappasso, anche la Cina, spesso additata come il maggior inquinatore mondiale, rischia di diventare vittima dei cambiamenti climatici. La prima a soffrire per l’effetto delle temperature sempre più alte, spiegano i ricercatori dell’università di Pechino, sarà l’agricoltura, che secondo alcuni scenari potrebbe perdere il 20% della produzione entro il 2050, un’eventualità particolarmente nefasta per il paese, che deve sfamare il 22% della popolazione mondiale pur avendo a disposizione solo il 7% dei terreni coltivabili.