Si chiama la terra preta de los indios (la terra nera degli indios) ed è studiata dagli scienziati di tutto il mondo per salvare il pianeta dall’ effetto serra. Inclusi anche i nostri scienziati dell’ Istituto di biometeorologia del CNR di Firenze (Ibimet), con l’ équipe del dottor Franco Miglietta. La scoperta non è nuova: in Brasile esistono dei terreni ad alto contenuto di carbonio, nella misura del 70% in più rispetto ai suoli limitrofi. E’ una terra fatta di scaglie friabili molto scure, simile alla carbonella per barbecue.
“Sembra che questo carbone sia stato prodotto dalla combustione incompleta di parti vegetali introdotte volontariamente nel terreno dalle popolazioni locali, nel corso di migliaia di anni. Insomma, in alternativa al “taglia e brucia”, si praticava il “taglia e carbonifica” a scopo di fertilizzazione“, spiega Miglietta. E sin qui, niente di strano…
LA TERRA COME UNA SPUGNA DI CO2
La novità qual’ è? Pare che questa antica pratica agricola degli indios non solo renderebbe i terreni più fertili ma, applicata su vasta scala, rimuoverebbe dall’ atmosfera una grande quantità di CO2 che vi si è accumulata. “E’ noto – spiega Miglietta – che le piante assorbono CO2 dall’ atmosfera, per poi rilasciarla quando terminano il loro ciclo di vita. Invece, interrandole, la CO2 viene trattenuta nel terreno per migliaia di anni e così si possono ridurre le emissioni di questo inquinante nell’ atmosfera“.
IL PROGETTO ITABI
La terra preta de los indios è stata oggi ribattezzata con il nome di biochar, ed è così diventata oggetto di studi ed esperimenti. Esperimenti che sono concluiti nel progetto ITABI (Italian Biochar Iniziative) nel quale sono in corso delle verifiche sperimentali sui terreni della Toscana. Le conclusioni? Aggiungendo 10 tonnellate per ettaro di biochar, si sottraggono all’ atmosfera 30 tonnellate di CO2, aumentando nello stesso tempo la produzione di frumento duro del 15%.
“Ma, oltre al sequestro della CO2, i vantaggi sono molteplici“, sottolinea Miglietta. “Immettere biochar nel terreno significa innanzitutto sbarazzarsi di residui organici di origine agricola o alimentare che oggi vengono bruciati; poi ridurre l’ uso di fertilizzanti; e ancora generare energia grazie ai gas che vengono liberati nel corso della carbonizzazione del biochar interrato“.
COME FARE IL BIOCHAR
Il biochar può essere ottenuto a pdai gusci di noce, dalla pula di riso, ma anche da biomasse appositamente coltivate. Il processo di carbonizzazione si realizza accatastando i residui, ricoprendoli di terra e avviando una lenta combustione in assenza di ossigeno, a temperature di poco superiori a 300 gradi, secondo una tecnica di decomposizione termochimica chiamata pirolisi.
Insomma, le antiche pratiche nascondo misteri pieni di saggezza.