D: Il vaiolo non è stato debellato mediante la vaccinazione?
R: Al contrario. L’Inghilterra, che è stato il primo paese a introdurre l’obbligo della vaccinazione contro il vaiolo nel 19° secolo, è stato anche il primo paese a scoprirne il pericolo e ad abbandonarne l’obbligo già prima della fine dello stesso secolo. Come risultato, durante tutto il 20o secolo l’Inghilterra ha conosciuto meno casi di vaiolo che tutti gli altri paesi dove la vaccinazione era obbligatoria (vedi Imperatrice Nuda, capitolo “Vaccini, confusioni ecc.”).
D: È veramente impossibile stabilire con certezza se una inoculazione ha raggiunto il suo scopo?
R: Per una risposta scientificamente valida, si dovrebbe esporre un folto gruppo d’individui non vaccinati ad un’infezione virulenta e poi confrontarlo con un gruppo equivalente d’individui vaccinati, esposti alla medesima infezione. Evidentemente, non lo si è mai fatto.
Terzo mondo
D: L’esplosione demografica del Terzo Mondo non è una prova che la vaccinazione protegge contro le malattie?
R: L’introduzione di programmi di vaccinazione sistematica è sempre accompagnata da misure d’igiene e da un miglioramento della qualità della vita. È nomale che più nutrimento e meno sporcizia abbiano effetti positivi sulla speranza di vita.
Vaccinazione di massa
D: Non sarà dunque mai possibile stabilire con certezza gli effetti positivi di una vaccinazione di massa?
R: Finora è stato solo possibile provare irrefutabilmente quali terribili danni i vaccini possono produrre. Esistono libri interi al riguardo. Possono essere consultati nelle biblioteche. Ma adesso non parliamo della fondatezza o meno delle vaccinazioni, che è un capitolo a parte, ma dell’opportunità o meno di sviluppare i vaccini su animali. E quelli non prodotti sui animali si sono dimostrati molto meno rischiosi.
D: Per esempio?
R: Per produrre vaccini ci suole un materiale biologico di base che non deve necessariamente essere costituito da animali viventi. In Russia, per esempio, quasi tutti i vaccini sono prodotti sui uova di anatra. Anche le colture di cellule umane rappresentano un terreno di sviluppo molto meno pericoloso.
Esperimenti sulle scimmie
D: La Polio non è stata debellata grazie agli esperimenti sulle scimmie?
R: È quanto si credeva una volta. Oggi si sa che è vero precisamente il contrario. Anche le campagne antipolio vennero messe in atto quando l’epidemia era già in declino. Cominciò a regredire in tutti i paesi non vaccinati nella stessa misura come nei paesi vaccinati. Questi ultimi, peraltro, subirono la solita recrudescenza della malattia subito dopo l’imposizione della vaccinazione. Particolarmente grave è stato il caso del Brasile, dove non c’era mai stata un’epidemia di polio fino al giorno in cui gli venne imposta la vaccinazione.
Catastrofi
D: Questo vaccino ha realmente provocato tante catastrofi?
R: Sì, oltre al sospetto di aver scatenato l’AIDS. Nel 1983, per esempio – 30 anni dopo la pretesa eliminazione della Polio – ci furono scandali negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Nuova Zelanda, presto soffocati, riguardo a questo vaccino. Le culture di tessuti dei reni di scimmie, sulle quali sia Salk che Sabin avevano sviluppato i loro vaccini, si dimostrarono molto nocive, precisamente perché erano di origine animale. Fu in questa occasione che si capì per la prima volta che dei virus congeniti, cioè innati, naturali per un animale e dunque innocui per lui, possono diventare virulenti quando saltano la barriera della specie, come quando vengono immessi nell’uomo. Questa scoperta portò alla produzione di un nuovo vaccino contro la Polio, molto più sicuro, coltivato su culture di cellule diploidi umane (v. capitolo “Vaccini cancerogeni” in Imperatrice Nuda).
Tubercolosi
D: Un articolo sull’Osservatore svizzero-tedesco affermava tempo fa che è impossibile provare la presenza della tubercolosi in un malato senza sperimentazione animale. È vero?
R: Nemmeno per sogno. Questo genere di controverità scientifiche in favore della necessità della vivisezione e l’eccellenza miracolosa della medicina ufficiale appaiono continuamente sulla stampa svizzera, che allo stesso tempo rifiuta di pubblicare tutte le opinioni contrarie.
Coltivazione in vitro
D: Allora non è vero che non si può provare la presenza della tubercolosi senza ricorrere agli animali?
R: Per parecchi anni, ricercatori incapaci di concepire un metodo diverso non avevano trovato di meglio per constatare la presenza o meno della tubercolosi in un paziente se non iniettare un miscuglio di sue materie organiche – tra cui un po’ di saliva, di pituita, di succhi gastrici e di urina – in un porcellino d’India e poi attendere varie settimane per vedere se l’animale sviluppava o non sviluppava la tubercolosi. I risultati – come sempre nel caso della sperimentazione animale – non erano affidabili. Da allora, i ricercatori più dotati hanno pensato di coltivare “in vitro” i batteri del paziente, cioè fuori da un corpo animale, in un brodo di cultura di queste sostanze, di modo che oggi l’esame si svolge per mezzo del solo microscopio e dà risposte sicure e immediate. Ma esistono sempre ancora ricercatori ottusi che se non ci va di mezzo un animale preferirebbero cambiare mestiere.
fonte: http://www.hansruesch.net/articoli/D&R.htm