Il futuro della chimica appare sempre più green. Ed a renderla eco-compatibile stanno provando anche due scienziati del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston (Usa). I ricercatori Christopher Cummins e Daniel Tofan che hanno infatti sintetizzato il fosforo, elemento base di detergenti, fertilizzanti e pesticidi, grazie ai raggi ultravioletti e senza ricorrere al classico processo con il cloro, nocivo per la salute degli operatori e per l’ambiente. A riferirlo è Galileonet.it sottolineando che la nuova metodica eco-friendly è riportata sulle pagine di Angewandte Chemie.
LA CHIMICA SI FA GREEN
Il fosforo, riferisce il giornale di scienza on line, è un elemento presente in natura nelle rocce e nei depositi fossili animali, sotto forma di fosfato. Per poter essere utilizzato nella sintesi industriale, il fosfato viene prima purificato in fosforo bianco (P4, la forma più stabile) e poi sottoposto a una procedura con il cloro.
Il risultato finale di questo processo, potenzialmente pericoloso e dispendioso, è una molecola costituita da un atomo di fosforo legato a tre di cloro. Questo è il punto di partenza per la sintesi di molte altre molecole, create sostituendo gli atomi di cloro con composti organici, ovvero contenenti carbonio.
Prendendo come riferimento uno studio del 1937, i ricercatori del Mit hanno ora trovato il modo di escludere il cloro. Nell’esperimento, il fosforo bianco è stato posto vicino a molecole organiche e il tutto è stato irradiato con raggi Uv. Dopo 12 ore, gli studiosi hanno osservato un composto costituito da due atomi di fosforo legati a due molecole organiche.
UNA NUOVA SINTESI DEI PRODOTTI ORGANICI
“Per il momento, questi risultati possono solo suggerire che dalla molecola P4 si sia formata una molecola P2 – ha spiegato Cummins – e che questa si sia immediatamente legata ai composti organici“. E, nel futuro, gli autori sperano di poter osservare in diretta la formazione della molecola P2. Sembra comunque aperta una nuova strada nella sintesi dei prodotti organici.
CELLE SOLARI DALLE PIANTE
Nuovo balzo avanti tecnologico anche per il fotovoltaico sempre dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston (Usa). Un team guidato da Michael Strano ha infatti ‘copiato’ un processo che avviene in natura, nelle piante, ed ha messo a punto il prototipo di una nuova cella solare destinata a cambiare il mercato dell’energia dal Sole. Si tratta, riferisce Galileonet.it, del prototipo di celle solari grandi qualche miliardesimo di metro, più efficienti e più durature di quelle attualmente utilizzate nei pannelli e auto-assemblanti.
SOLUZIONI TECNOLOGICHE DALLA NATURA
I componenti di questi nanoscopici dispositivi possono infatti continuamente dissociarsi e ri-assemblarsi con l’aiuto di un solvente. L’invenzione è pubblicata su Nature Chemistry. Una delle maggiori sfide nel campo del fotovoltaico è imprigionare l’energia solare in dispositivi sempre più efficienti, grazie a materiali capaci di resistere al deterioramento causato dal Sole stesso. E, come in molti altri casi, è la natura stessa a indicare una possibile soluzione.
Nelle piante infatti, all’interno dei cloroplasti, le molecole sensibili alla luce si proteggono dagli effetti nocivi dei raggi rinnovandosi continuamente, prima demolendosi e poi ri-assemblandosi. I ricercatori del Mit hanno quindi creato un prototipo di un dispositivo, cercando di mimare questo processo.
Per copiare il processo delle piante, i ricercatori del Mit, riferisce ancora il giornale on line della scienza, hanno mescolato in soluzione sette diversi componenti, tra cui lipidi, nanotubi di carbonio e proteine. Questi, in presenza di un solvente, rimangono separati; togliendo il solvente, i lipidi, le proteine e i nanotubi si organizzano in strutture ordinate, capaci di funzionare come celle fotovoltaiche. Nello specifico, i lipidi si dispongono in dischi e forniscono supporto per le proteine, organizzate come centri di reazione in grado di catturare la luce e trasformarla in energia.
IL RUOLO DEI NANOTUBI DI CARBONIO
I dischi di lipidi, inoltre, in soluzione si legano spontaneamente ai nanotubi di carbonio. Questo il processo: quando le proteine sono colpite dai fotoni, si liberano elettroni che, passando attraverso i dischi, vengono indirizzati verso i nanotubi di carbonio, capaci di trasportare corrente elettrica con grande efficienza.
L’efficienza di questo dispositivo nel convertire l’energia solare in energia elettrica è circa del 40 per cento, circa il doppio delle celle fotovoltaiche attualmente impiegate nei pannelli. Ma, dicono i ricercatori, potrebbe crescere ancora.