Carni, vino, pesce… ma ormai anche prodotti meno pregiati come le patate, lo yogurt, viaggiano come e più degli uomini. Nessuno ha l’ interesse a svelare i chilometri che stanno dietro questi cibi. Se per i prodotti tipici la distanza è un plus (l’ etichetta ne racconta l’ origine lontana come una carta d’ identità da mostrare con orgoglio), il cibo “normale” che, a nostra insaputa, ha percorso migliaia di chilometri per essere al mattino sui banchi del mercato, sembra viaggiare a volto coperto.
Volete frutta e verdura fuori stagione? Eccole, hanno il costo che hanno. E non si tratta del solo costo economico.
LA FRUTTA INQUINA… SE VIAGGIA
Per viaggiare, anche la frutta inquina. Ma proprio perché la dimensione del fenomeno resta in buona parte nascosta, i danni causati da una logistica sempre più discutibile ci sfuggono, così come il danno ecologico che ne deriva.
FOOD MILES
Nel 1992, Tim lang, professore di Food Policy della City University London, ha messo a punto un modo per calcolare il consumo di carburante nascosto dietro una cassetta di frutta o di verdura. Ha introdotto il concetto di Food Miles, cioé di miglia percorse dal cibo, e ha provato a quantificare l’ anidride carbonica prodotta per consentire a un europeo di addentare un frutto che , anziché essere coltivato nel proprio paese, arriva dal Sud America o dalla Cina.
L’ equazione tiene conto della lunghezza del viaggio aereo e delle quantità trasportate, calcola il costo economico del viaggio e le emissioni di inquinanti, i costi di produzione, di imballaggio e di separazione degli scarti (perché il cibo arriva da noi di prima qualità e ben incartato).
Così, quelle pere importate non costano soltanto due euro al chilo, come da cartellino, ma 9mila chilometri, cioé 5 chilogrammi di CO2. L’ uva maturata sotto il sole del Sud Africa costa 8mila chilometri di distanza, pari a 4,4 chilogrammi di CO2 al chilo.
IL PARADOSSO DEL MERCATO GLOBALIZZATO
Se oggi si parla di cibo a chilometro zero, il merito è anche delle teorie di Lang. Il concetto di Food Miles, nato quasi per gioco, rende l’ idea di quello che è uno dei paradossi del nostro modo di produrre e consumare. Un cibo può percorrere distanze assurde prima di giungere al banco del supermercato. E magari a pochi chilometri dalla nostra tavola c’ è un’ azienda agricola che produce da sempre lo stesso prodotto e non riesce a piazzarlo, perché costa qualche centesimo in più rispetto alla concorrenza.
PREZZO E… SAPORE
Il problema non è solo il prezzo, ma anche il sapore. I prodotti ortofrutticoli per viaggiare da un continente all’ altro devono essere refrigerati, magari colti prima del tempo e maturati a comdando una volta giunti a destinazione; ne vai dei sapori, del gusto… in una parola, ne va della qualità.
A OGNI FRUTTO LA SUA STAGIONE
Chi sostiene le ragioni del cibo a chilometro zero ci ricorda che vale la pena di aspettare le stagioni giuste per ogni prodotto agricolo: ciliegie, fragole, meloni, albicocche, ma anch pomodori, melanzane, peperoni… hanno tutto un altro gusto e sapore se raccolti al tempo giusto, non conservati a lungo e consumati quindi non lontano dai mercati di produzione.