Gli alberi, negli Stati Uniti occidentali ed in Canada, muoiono più velocemente di quanto non abbiano mai fatto prima. E non solo muoiono, ma non c’ è una sufficiente ricrescita per sostituire gli esemplari morti, né il numero sufficiente di semi piantati per ripopolare le foreste.
Il tasso di mortalità, che è nell’ ordine naturale dell’ 1%, è in molti casi raddoppiato nell’ arco di un solo ventennio. Secondo uno studio effettuato di recente dal Western Ecological Research Center di Arcata, California, e reso noto dalla rivista britannica Nature, l’ aumento della mortalità sarebbe correlato ai cambiamenti climatici. Una situazione che ha portato ad una possibile drastica soluzione.
Uno degli studiosi del team che ha condotto lo studio sugli alberi, Phillip van Mantgem, ha spiegato che sebbene la percentuale dei decessi possa apparire poco elevata, la differenza tra l’ 1% e il 2% per un periodo di 50 anni potrebbe fare un’ enorme differenza.
I dati in evidenza
La squadra di studiosi ha tentato di formulare diverse spiegazioni al fenomeno.
Per esempio, una foresta che è relativamente giovane avrà molti alberi piccoli, che con l’ andare del tempo infittiranno la foresta. Man mano gli alberi cresceranno, alcuni moriranno naturalmente e così gli alberi si diraderanno e troveranno lo spazio necessario per crescere. Per questo motivo, lo studio si è concentrato in punti dove le foreste erano più vecchie di 200 anni, luoghi dove parti della foresta sono state abbattute su larga scala a colpi d’ascia dall’ industria del legname sin dal XIX secolo. Questi alberi continuano a morire e ad essere ripiantati, ma il processo di sfittimento naturale della foresta è cessato.
Anche la moderna soppressione degli incendi è una possibile causa di morte degli alberi: la differenza è stata riscontrata mettendo a confronto aree recentemente interessate da incendi boschivi ed aree dove da tempo non si verificano episodi del genere. Nelle prime, gli alberi muiono più in fretta.
Sin’ ora la correlazione tra i decessi e l’ incremento della temperatura è solo – per l’ appunto – una correlazione.
Secondo van Mantgem, il meccanismo attualmente in corso varierebbe di foresta in foresta. Le foreste che si trovano in regioni aride e calde potrebbero perdere alberi a causa di un’ eccessiva siccità. Ma anche quando le piogge sono stabili, l’aumento della temperatura può far evaporare più in fretta alcuni centimetri di precipitazioni molto in fretta. Nelle regioni più umide, per contro, può rendere la vita più semplice ad alcuni tipi di insetti che si cibano di foglie, come i coleotteri da corteccia. Questi ultimi hanno causato la morte di massicce parti di foresta negli ultimi anni. L’aumento della mortalità degli alberi potrebbe allora essere il sintomo dello stress climatico che rende gli alberi più suscettibili a queste catastrofi.
La soluzione che fa discutere
Quanto sia importante questo studio per il bilancio di carbonio della Terra non è così ovvio come sembra. Recentemente è stato dimostrato che le foreste antiche continuano ad assorbire carbonio nel loro terzo secolo ed oltre. Con pochi alberi vivi, ci si aspetterebbe che l’ assorbimento di carbonio diminuisca. Ma la crescita è un fenomeno molto complesso.
Ancora meno chiaro è il perché smettere ogni attività all’interno della foresta finirebbe con l’ accelerare la mortalità degli alberi.
Tuttavia, qualche cosa può essere fatta: un’ ipotesi avanzata dallo studio è quella di abbattere gli alberi esistenti per farne biomassa o legname, mantenendo il carbonio nell’ atmosfera, per poi ripopolare il territorio con specie che siano più adatte a sopportare i cambiamenti climatici.
A questo processo andrebbe aggiunto il controllo di ogni specie invasiva che potrebbe derivare dalle specie forestali stressate dal clima, oltre al trasporto di alcune specie in territori più freddi, a nord. Infine – sempre secondo lo studio in questione -, bisognerebbe predisporre maggiori incendi controllati, per preparare le foreste a più incendi spontanei.
Lo studio si conclude tuttavia con un punto interrogativo: nessuno sa veramente che cosa fare. Anche gli studiosi del Western Ecological Research Center di Arcata alzano le mani e dicono di trovarsi in un territorio ancora completamente inesplorato.
Luigi 24 Gennaio 2009 il 14:14
stiamo messi bene…