Nel 1995, l’anno in cui l’Iri aveva ceduto l’impianto di Taranto al gruppo Riva, erano stati l’equivalente di 140 milioni di euro della vendita per destinarli al risanamento ambientale della città di Taranto.
Erano stati investiti in titoli di Stato e a quanto sembra sono “misteriosamente” scomparsi. Lo ha scoperto il deputato del partito democratico Ludovico Vico, che in questi giorni dovrebbe presentare un’interrogazione al ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera.
Dalle informazioni raccolte dal parlamentare si evince che tra la finanziaria che controllava l’impianto tarantino e il gruppo Riva c’è stato un lungo contenzioso legale sul contratto di cessione degli stabilimenti siderurgici – oltre a quello di Taranto, c’erano anche gli impianti di Genova, Torino, Marghera e Novi Ligure.
Al centro della contesa c’erano i problemi ambientali. Secondo l’interrogazione parlamentare:
Con la cessione, l’Iri garantiva di non aver posto in essere atti e comportamenti di natura dolosa o gravemente colposa in materia ambientale, impegnandosi, al riguardo, a tenere indenne l’acquirente da perdite risultanti da violazioni di legge in materia di ambiente.
Dai successivi scambi tra lo Stato e il gruppo Riva si evince che appare evidente un fatto: tutti sapevano che quella acciaieria produceva oltre all’acciaio, anche malattie morti, ma che hanno fatto poco per evitarlo.
Intanto continua il lungo braccio di ferro tra le parti. Ora bisogna vedere se la giustizia tarantina boccerà la nuova Aia dell’azienda. Se ciò dovesse succedere, penso proprio che il governo farà di tutto per evitare la chiusura della più grande acciaieria d’Europa.
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