La Cina ha stabilito che entro i prossimi tre anni la tanto rinomata zuppa di pinne di squalo sparirà dai menu di tutto il Paese. Tre anni sembrano un tempo abbastanza lungo, ma è già un grande passo, che va analizzato sia dal punto di vista politico che da quello ambientalista.
La Cina è il maggior consumatore di pinne di squalo con una percentuale del 95%, davvero altissima, che ogni anno costa la vita a 70 milioni di squali, un massacro che ha messo a rischio l’intera specie, per l’esattezza ben 44 specie di squalo sono a rischio concreto. Questa strage viene messa in atto soltanto per recuperare le pinne dei pesci, uno dei cibi più prelibati della Cina, che ha peraltro un prezzo altissimo.
A prendere questa importante decisione, è stata l’amministrazione degli uffici governativi del Consiglio di stato di Pechino a seguito di una proposta del 30mo Congresso nazionale del popolo, si tratta di un passo molto importante in un Paese come la Cina, da sempre piuttosto restìo ad abbandonare le proprie tradizioni.
La distruzione della specie degli squali comporta rischi anche per quanto riguarda l’equilibrio ecologico dei mari. Per quanto possano essere mal visti, gli animali mantengono equilibrata la crescita di altri organisimi, alla pari di molti altri celebri cacciatori, come leoni o altri animali feroci, che pur rivestendo un ruolo negativo ai nostri occhi, mantengono l’equilibrio in natura.
Dal punto di vista politico, poi, non c’è da tralasciare la rilevanza economica che avrà questa rinuncia sulle casse del Paese: mezzo chilo di pinne di squalo può costare dai cento a cinquecento dollari, anche di più; smettere di cacciare e di venderlo come pietanza, farà rientrare sicuramente molto denaro nelle casse Statali ed in più sarà utile alla salute dei consumatori. Le pinne di squalo, infatti, a causa dell’alto tasso di inquinamento dei mari, sono ricche di mercurio e di altre sostanze che creano problemi.
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