Alla fine la montagna partorì il topolino. Si potrebbe riassumere così il risultato del vertice di Durban. Molto meglio comunque di un nulla di fatto. Dopo una no-stop di due notti e un giorno di discussioni in cui si è arrivati a più riprese ad un passo dalla rottura, l’assemblea delle Nazioni Unite ha raggiunto un accordo.
In estrema sintesi si fronteggiavano due campi: da una parte un gruppo più nutrito di paesi che comprendeva l’Europa, gli Stati-isola che rischiano di scomparire per l’innalzamento dei mari causato dall’aumento delle temperature, e buona parte dei governi africani e dell’America latina – ovvero i paesi più a rischio eventi naturali a seguito del surriscaldamento climatico –, dall’altra i paesi che bruciano più petrolio e carbone, ovvero gli Stati Uniti, la Cina, l’India e – per qualcuno sarà una sorpresa – il Brasile e le Filippine.
I primi volevano arrivare subito ad un accordo vincolante, ma si sono trovati davanti a un rifiuto del secondo gruppo di paesi. Alla fine ci si è trovati a metà strada: entro il 2015 si dovrebbe arrivare alla definizione di un accordo – per cui verrà creato un gruppo ad hoc – che sarà vincolante per tutti i paesi a partire dal 2020.
Nell’attesa dell’accordo dovrebbe partire la seconda fase degli impegni di Kyoto a cui aderiranno l’Europa e una parte dei paesi industrializzati- ma non i maggiori inquinatori. E per finire verrà creato un Fondo Verde da 100 miliardi di dollari l’anno per aiutare i paesi più poveri a sostenere il salto tecnologico senza aumentare ulteriormente le emissioni ad effetto serra.
Questi i commenti dei partecipanti alla Conferenza. Per il ministro dell’energia inglese Chris Huhne, è stato
Un grande successo per la diplomazia europea
mentre secondo il nostro ministro dell’ambiente Corrado Cini
l’accordo rappresenta una speranza concreta per la stabilità del clima e per la nostra economia: si apre una piattaforma di intese sulle tecnologie pulite con i paesi di nuova industrializzazione.