L’area più ricca di ecovillaggi nel pianeta è il continente americano: ci sono almeno 2.000 comunità – il 90% è concentrato negli Stati Uniti. Un movimento che coinvolge circa centomila persone.
In Europa si segnalano la Gran Bretagna e l’Irlanda con 250 comunità e circa 5.000 persone al loro interno. Più di cento in Germania, trentatre in Francia, ventotto – più o meno – nei paesi scandinavi, in Spagna e Portogallo ventitre e dieci in Danimarca.
Aderiscono alla Rete Italiana Villaggi Ecologici – Rive – una ventina di realtà, a cui bisogna aggiungerne una decina di ecovillaggi che non fanno parte del network. Alcuni sono nati per ridare vita ad un vecchio borgo abbandonato, rispettando l’architettura e l’ambiente originale, altri sono legati a scelte di vita spirituali o come sperimentazione di un contesto a basso impatto ambientale – in alcune comunità sono presenti più orientamenti contemporaneamente.
Gli ecovillaggi italiani, con l’eccezione di Nomadelfia e Damanhur – che hanno diverse centinaia di membri – hanno dimensioni limitate, visto che contano in genere meno di 20 soggetti partecipanti.
Spesso la proprietà è comune e i membri della comunità mettono in una cassa comune lo stipendio. La comune può provvedere alle spese comuni come vitto, riscaldamento, preparazione pasti. Vi sono ecovillaggi che prevedono paghe uguali per tutti i membri ed altre una retribuzione differenziata. In alcuni casi si assiste anche ad una sorta di tassazione che ha l’obiettivo di redistribuire la ricchezza.
C’è chi lavora dentro e chi lavoro fuori dalla comunità. Gli impegni che riguardano la gestione generale della comunità vengono ripartiti tra tutti i membri. Spesso questo porta ad una riduzione del carico per alcuni – pensiamo all’educazione dei bambini o alla preparazione dei pasti.
In genere nessuna decisione importante viene presa se non c’è l’unanimità dei consensi perché si cerca di andare oltre alla dinamica maggioranza-minoranza.
Nella maggior parte dei casi l’educazione dei bambini è affidata direttamente ai genitori. Nelle comunità più piccole si ricorre a scuole esterne, in quelle più grandi ci sono scuole interne autogestite.