Nucleare: in Italia decine di siti pieni di scorie

di Redazione 70 views0

 In Italia sono decine i siti pieni di scorie: centrali chiuse dal referendum, centri di ricerca, depositi. A proporre la mappa dei siti di scorie è L’Espresso in edicola da domani. L’inventario radioattivo nazionale conta anche alcune ”piscine”, dove stanno a mollo le barre di combustibile irraggiato (e ancora fortemente radioattivo) estratte dai vecchi reattori, in attesa di prendere la via del riprocessamento a La Hague (Francia) o a Sellafield (Regno Unito).

Centomila metri cubi di spazzatura radioattiva
Essenzialmente, scrive il settimanale, stazionano sulla penisola 100 mila metri cubi di spazzatura radioattiva, con tempi di decadimento che vanno da qualche mese o anno (i rifiuti della medicina nucleare) a centinaia di migliaia di anni (il plutonio). Mettere in sicurezza il nucleare del passato ci costerà almeno 4,5 miliardi di euro, in parte prelevati dalle bollette (alla voce A2), che la società incaricata Sogin sta spendendo per smantellare le centrali e neutralizzare i rifiuti. Il tutto dovrebbe essere terminato entro il 2020, anno in cui gli impianti francesi e britannici cominceranno a restituirci ben impacchettate le scorie derivanti dal riprocessamento del combustibile esaurito.

I siti più pericolosi
Nella mappa del ‘nucleare reale’ a guidare la classifica di pericolosità riportata dal settimanale troviamo Saluggia, un piccolo centro in provincia di Vercelli che ospita l’impianto Eurex e il deposito Avogadro. Il primo, realizzato nel 1965, serviva per il riprocessamento dei combustibili dei reattori di ricerca, poi trasformato in deposito di rifiuti radioattivi. Avogadro, invece, è uno dei primi reattori di ricerca italiani, costruito dalla Fiat negli anni Cinquanta e successivamente trasformato in deposito.
Nella classifica di pericolosità segue il Centro Itrec di Trisaia, a Rotondella (Matera). Costruito a fine anni Sessanta come impianto di trattamento del combustibile del ciclo Uranio-Torio, oggi deve vedersela con 64 barre ad alta radioattività provenienti dalla centrale statunitense di Elk River. Sono immerse dagli anni Sessanta in una piscina e non sono mai più ripartite alla volta dell’America, che di fatto non le rivuole indietro.
Trecento chilometri più a nord di Rotondella c’é Sessa Aurunca (Caserta), nella piana alluvionale del fiume Garigliano, in zona sismica, hanno costruito una centrale nucleare, entrata in funzione nel 1964 e spenta nel 1978 a causa di un guasto tecnico. Ripulire la centrale riportandola a ”prato verde”, come dicono gli operatori, dovrebbe avvenire non oltre il 2019.
A Nord di Roma c’è il centro Enea della Casaccia, dalle parti di Anguillara Sabazia. E’ lì che è nata la ricerca sulle applicazioni del nucleare in Italia, alla fine degli anni Cinquanta. Nei 90 ettari in cui si estende il centro qualche resto di nucleare c’è ancora. I due reattori sperimentali, per esempio, il Triga e il Tapiro, non hanno mai smesso di funzionare. Insieme al Triga-2 del centro Lena dell’università di Pavia, i reattori della Casaccia compiono sia studi medici sia indagini su materiali come la datazione di reperti, o ancora caratterizzazione di alimenti o studi pilota sul futuro delle tecnologie nucleari.
Il viaggio nel nucleare italiano torna a Nord nelle centrali di Trino Vercellese e Caorso (Piacenza), in fase avanzata di smantellamento. Le ultime 47 barre di combustibile ancora presenti dovrebbero partire da Trino fra non molto, mentre la maggior parte degli edifici e la torre di raffreddamento sono già stati demoliti e stoccati come rifiuti. Anche a Caorso rimane da trattare il reattore (senza combustibile, già asportato) e una ragguardevole quantità di rifiuti frutto dello smantellamento delle strutture principali dell’impianto.

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