L’Appennino Tosco-Emiliano è stato una formidabile cerniera tra il Nord padano, la penisola e il mare di Luni. Ed è proprio andando a sollevare il velo della cultura materiale ancora ben viva e presente a cavallo della terra toscana e quella emiliana, che è possibile percepire che cosa unisce oggi i popoli residenti nel Parco Nazionale, riconoscere a tavola quali sono stati i travasi secolari in termini di enogastronomia e di tradizioni. Componenti cardine di questa tavola sono la “cultura del Parmigiano-Reggiano” di montagna per il versante emiliano, la “cultura del castagno” ampiamente rappresentata nei versanti di Garfagnana e Lunigiana, e la “cultura del testo”, il disco piatto utilizzato per la cottura sul fuoco che caratterizza la cucina appenninica dell’alta Toscana.
Una conferma della straordinaria ricchezza di prodotti agroalimentari di qualità in questo territorio è rappresentata dall’elenco di prodotti a marchio DOP e IGP, di valore nazionale ed europeo, dei prodotti agroalimentari tradizionali e dai Presidi Slow Food.
Tra i funghi presenti nel Parco Nazionale Appennino Tosco-Emiliano il più noto è il Porcino (Boletus edulis) che cresce nei boschi cedui a fine estate e in autunno, essiccati o freschi, entrano a far parte di tutti i menu tradizionali di montagna. Altri prodotti caratteristici dell’alta montagna appenninica sono i frutti di bosco (mirtilli, lamponi, fragole ecc.). Il mirtillo nero, specie che caratterizza le brughiere del crinale Appenninico Tosco-Emiliano al di sopra del limite degli alberi, oltre ad avere un interesse botanico ed ecologico costituisce la materia prima per trasformatori e produttori di marmellate e liquori.
Il parmiggiano reggiano
Il formaggio più famoso in Italia e nel mondo nasce ai piedi dell’Appennino Reggiano e Parmense, ed è la piena espressione di quel paesaggio in cui si alternano prati, pascoli di erba medica e boschi.
Il parmigiano reggiano ha una lunga storia, iniziata con tutta probabilità in ambito monastico e nelle tenute aristocratiche: solo la grande proprietà terriera, infatti, poteva disporre della quantità di latte necessaria a produrre una singola forma (che si ottiene oggi con circa 500 litri), considerando il fatto che una vacca medievale produceva circa 3 litri di latte al giorno.
Fin dal XIII secolo
Si ha testimonianza certa dell’esistenza di un “formadio” di latte vaccino prodotto sull’Appennino emiliano fin dal XIII secolo; lo citano poi anche Boccaccio, Teofilo Folengo, il Burchiello. In anni recenti il parmigiano reggiano era ancora lavorato nei “caselli”, curiose costruzioni ottagonali o esagonali prive di finestre ma con pareti fatte di un grigliato di mattoni che permetteva la circolazione dell’aria. Al centro dell’unico ambiente, una caldaia di rame a forma di campana rovesciata raccoglieva il latte, che veniva scaldato col fuoco a legna.
Oggi i produttori di parmigiano reggiano si sono adeguati alle prescrizioni delle aziende sanitarie, ma le campane, o “caldere”, non sono molto diverse da quelle della tradizione: in acciaio con l’interno rivestito di rame, contengono circa 10 quintali di latte, che viene in parte scremato in apposite vasche (la mungitura della sera). In ogni caldera si producono due forme di parmigiano reggiano.
Per maggiori informazioni visitate il sito del Parco Nazionale Appennino Tosco-Emiliano