E’ iniziata ieri a New York la prima settimana della 64/ma Assemblea Generale dell’Onu con il vertice sul clima convocato dal segretario Ban Ki-moon, un appuntamento chiave che apre la sette giorni densa di riunioni sui dossier più sensibili dell’intero pianeta.
Oggi invece l’apertura dei lavori dell’Assemblea: parlano, oltre a Ban Ki-moon, il presidente del Brasile Luis Ignacio Lula, Obama, il leader libico Muammar Gheddafi, il presidente francese Nicolas Sarkozy, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Nel pomeriggio, tra gli altri, il presidente cinese Hu Jintao, il russo Dmitri Medvedev, l’iraniano Mahmud Ahmadinejad e il primo ministro britannico Gordon Brown. Non ci sarà invece il deposto presidente dell’Honduras Manuel Zelaya, del quale era previsto un intervento, che è tornato a sorpresa nel suo Paese, rifugiandosi nell’ambasciata brasiliana.
PAROLA ALL’ITALIA
Poco prima delle 13 ora locale, il Premier Silvio Berlusconi prenderà la parola all’assemblea generale dell’Onu in veste di presidente di turno del G8. Un discorso che, a quanto si apprende, partirà dai risultati del G8 dell’Aquila per affrontare i nodi che i grandi della Terra si trovano d’avanti: tra questi la lotta alla povertà nei paesi in via di sviluppo, le tematiche ambianetali in vista del vertice di Copenaghen, gli aiuti diretti all’agricoltura per i paesi più poveri. E, sul fronte della crisi, la necessità di lottare contro la speculazione. Domani il presidente del Consiglio volerà invece a Pittsburgh per partecipare al G20 sotto la presidenza di Obama.
OBAMA DELUDE?
I negoziati sul clima stanno procedendo “a ritmo glaciale: più lenti della velocità di scioglimento dei ghiacciai“. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha cercato di suonare la carica, ieri, trovando le risposte più concrete in Cina e Giappone (elogiate dal Premio Nobel Al Gore).
Deludenti invece gli Stati Uniti: il presidente Barack Obama, pur ammonendo che “il tempo stringe” e che “bisogna agire subito per evitare una catastrofe irreversibile“, non ha ha offerto nuove soluzioni.
L’APPELLO DI BAN-KI-MOON
Il vertice sul clima, al quale hanno partecipato oltre cento leader mondiali giunti a New York per la Assemblea Generale dell’Onu, ieri è stato aperto da un appello accorato di Ban Ki-moon: “abbiamo meno di dieci anni per evitare gli scenari peggiori“. “I negoziati sono giunti ad un punto morto“, ha osservato con realismo il presidente francese Nicolas Sarkozy, che ha proposto un vertice a novembre delle maggiori economie (che sono anche i maggiori inquinatori) per dare una spinta alla fase finale della conferenza di Copenaghen a dicembre. In questo clima di pessimismo, di parole di allarme ma di pochi passi concreti per uscire dallo stallo, sono balzati in evidenza gli interventi della Cina e del Giappone.
L’IMPEGNO DEL SOL LEVANTE
Il presidente cinese Hu Jintao, rispondendo alle critiche di mancanza di azione che da tempo bersagliano Pechino, si è impegnato a ridurre le emissioni di anidride carbonica “in misura notevole” entro il 2020 (rispetto al livello del 2005) con un calcolo agganciato alla unità di Prodotto Nazionale Lordo. Un impegno in sintonia con la convinzione della Cina che “i paesi in via di sviluppo hanno responsabilità diverse dai paesi sviluppati” in materia di lotta all’inquinamento. Inoltre Inoltre Hu Jintao si è impegnato a “sviluppare vigorosamente” le energie rinnovabili e l’energia nucleare, con un aumento del 15 per cento (sempre entro il 2020) della quota di energia non fossile nel totale del consumo energico della Cina. Azioni concrete sono giunte anche dal premier giapponese Yukio Hatoyama che ha ribadito l’impegno alla “ riduzione del 25% delle emissioni di gas serra entro il 2020“.
Il premier ha però aggiunto che “il Giappone da solo non può fermare il cambiamento climatico” e per questo motivo “i Paesi sviluppati devono guidare la riduzione delle emissioni”.
IL PLAUSO DI GORE ALLA CINA E LA TIRATA D’ORECCHIE A OBAMA
Gore ha elogiato la Cina, affermando che Pechino ha mostrato “uno spirito d’iniziativa impressionante” con il suo annuncio, ed anche il Giappone (ha definito “formidabile” l’intervento di Hatoyama). Più deludente è stato l’intervento di Obama che pur ribadendo l’urgenza e la gravità del problema e per mettendo in risalto di avere fatto nei suoi otto mesi di presidenza per affrontare la sfida climatica più di tutti i suoi predecessori non ha offerto iniziative volte a sbloccare la situazione di stallo dei negoziati quando mancano ormai solo due mesi e mezzo alla conferenza di Copenaghen.
Obama ha detto che gli Stati Uniti sono impegnati a fare un investimento senza precedenti nel campo della energia pulita, ad applicare nuovi standard per ridurre le emissioni di gas inquinanti dei veicoli e a fornire assistenza tecnica ai paesi sottosviluppati. Ma l’amministrazione Obama ha ammesso ieri a New York che molto dipende anche dalle azioni di un Senato alle prese al momento con la riforma della sanità.
Gli Usa contestano anche le pressioni europee per l’uso dei livelli del 1990 come base di partenza per i tagli alle emissioni: gli americani desiderano partire invece da livelli più recenti considerati da Washington “più vantaggiosi”. “Siamo veramente delusi dall’intervento di Obama – ha detto ieri Thomas Henningsen, un dirigente di Greenpeace – Invece di fare un passo avanti gli americani hanno fatto un passo indietro“.