I biocarburanti, dopo un periodo caratterizzato da grandi incertezze e accuse più o meno velate di esercitare un influsso negativo sul prezzo delle derrate alimentari a fronte di limitati vantaggi ambientali, stanno oggi vivendo una seconda giovinezza grazie alla nuova normativa comunitaria sulla promozione dell’ uso di energia da fonti rinnovabili.
La Direttiva 28/2003, di recente emanazione, prevede infatti un obbligo a carico di ogni Stato Membro di immettere nel settore trasporti al 2020 una quota minima del 10% di rinnovabili, tra cui ovviamente (e soprattutto) biocarburanti.
Il nuovo quadro legislativo ha quindi ridato grande fiducia agli operatori del settore e grande slancio al medesimo, tanto che gli addetti ai lavori prevedono un rapido ritorno ai tassi di crescita a due cifre che avevano caratterizzato il primo boom dei biocarburanti, tra il 2004 e il 2006.
I BIOCARBURANTI IN ITALIA
Focalizzandosi sul contesto italiano, si nota come il nostro Paese abbia immesso nel mercato nel 2007 circa 200.000 tonnellate di biodiesel (lo 0,46% del totale carburanti), mentre gli scarsi quantitativi di etanolo prodotti sono stati interamente esportati all’ estero, Svezia in primis. Nonostante le percentuali siano poco incoraggianti, bisogna evidenziare come l’ Italia rappresenti il terzo produttore europeo di biodiesel dopo Germania (responsabile da sola della metà dell’intera produzione Comunitaria) e Francia.
L’ industria biodiesel nasce e si sviluppa grazie all’ interazione fra diversi gruppi di soggetti quali gli agricoltori e il mondo agricolo, gli spremitori, i produttori/trasformatori industriali e il settore petrolifero. In Italia i trasformatori industriali utilizzano come materie prime preferibilmente colza (importata da Germania, Austria, Francia e Spagna) e soia (con un ruolo sempre preponderante delle importazioni), mentre per quanto concerne le coltivazioni su territorio nazionale di energy crops, (e per i quali vi è quindi un rapporto diretto tra agricoltori e spremitori Italiani, con la cosiddetta filiera corta) un ruolo di primo piano viene giocato dal girasole.
LA SCARSITA’ DI TERRENI
La scarsità di terreni a oggi dedicati alla coltivazione di feedstock per biocarburanti spiega la necessità delle imprese italiane a ricorrere massicciamente alle importazioni, con i conseguenti aggravi economici dovuti all’ impatto della logistica. Un ricorso maggiore alla filiera corta consentirebbe nel contempo un’ottimizzazione dei costi ed un miglioramento delle prestazioni ambientali del processo complessivo, grazie alle emissioni spiazzate in virtù delle ridotte operazioni di trasporto.
GLI IMPIANTI BIODIESEL IN ITALIA
Gli impianti di biodiesel sono dislocati da nord a sud della penisola, con una concentrazione maggiore nelle regioni settentrionali e in prossimità di porti e grandi nodi ferroviari.
Tranne poche eccezioni, la dimensione media degli impianti italiani è piuttosto modesta, tra le 150.000 e le 200.000 tonnellate. Nel trade-off tra economie di scala e logistica gli operatori italiani paiono quindi optare per la seconda, preferendo localizzare gli impianti in prossimità dei luoghi di coltivazione dei feedstock o degli snodi commerciali di approvvigionamento dall’ estero.
Una riprova del buon grado di strutturazione che l’ industria biodiesel va assumendo in Italia proviene anche soffermandosi sulla categoria che fa da tramite tra mondo agricolo e industriale, ovvero gli spremitori. Tra gli attori principali del settore solo una minoranza infatti non ha contatti con il settore biodiesel, intrattenendo la maggior parte delle aziende spremitrici e degli oleifici contatti e rapporti più o meno diretti e consolidati con i produttori di biodiesel: si va da contratti di fornitura spot con diversi produttori in competizione tra di loro, passando per aziende fornitrici di un determinato gruppo fino ad arrivare a casi di integrazione all’interno di uno stesso soggetto che è contemporaneamente spremitore e trasformatore industriale.
IMPRESE SPREMITRICI IN ITALIA
Nonostante gli spremitori italiani tendano, ove possibile, a privilegiare feedstock nazionali mediante la stipula di contratti con aziende agricole locali, la scarsità di terreni arabili disponibili (e quindi di offerta agricola) sul territorio italiano rende spesso necessario il ricorso di importazioni da Paesi terzi.
IL FUTURO DEL BIODIESEL IN ITALIA
Si può concludere evidenziando come l’industria Italiana del biodiesel si presenti oggi come un insieme che si va strutturando di anno in anno, grazie all’ interazione di diversi attori del mondo agricolo e industriale, e dove l’ industria petrolifera tradizionale gioca un ruolo marginale, di contatto col consumatore. È comunque facile prevedere che, visti gli altissimi interessi in gioco e gli sforzi attualmente sostenuti in attività di ricerca, l’ industria dei biocarburanti di domani veda un ruolo più centrale dei grandi gruppi petroliferi (l’ Eni ad esempio sta svolgendo ricerca nel campo delle micro-alghe, da cui ottenere biodiesel di seconda generazione).
Negli anni a venire sarà interessante scoprire come si dispiegherà il gioco competitivo tra incumbent del settore biodiesel e newcomers del settore petrolifero, vale a dire se la nuova struttura che si andrà delineando sarà basata su accordi di joint venture o magari acquisizioni di imprese operanti nel settore dei biocombustibili, o se viceversa si prediligerà la strada della competizione.
Fonte: AGI Energia